Omelie del Venerdì Santo

e della Veglia Pasquale - 2014

 

 

Celebrazione della Passione del Signore

La liturgia che abbiamo celebrato non considera questo giorno santo e benedetto come un giorno di lutto e di pianto, ma un giorno di amorosa e confidente contemplazione del sacrificio di Gesù, fonte di tutta la nostra salvezza. La Chiesa, infatti, oggi non celebra un funerale, ma celebra la morte vittoriosa del Signore sul male del mondo e sulla sua violenza. Per questo, le parole della liturgia ci hanno detto che la Chiesa sente come “beata” e “gloriosa” questa Passione di Gesù. Per antichissima tradizione, in effetti, oggi la Chiesa non celebra l’Eucaristia: è l’unico giorno dell’anno in cui non viene celebrata, in tutta la Chiesa, la S. Messa poiché siamo invitati a sostare, come la Santa Vergine e le pie discepole, sotto la croce di Gesù e comprendere così che siamo stati salvati “a caro prezzo” da Dio nel suo Figlio Gesù.

Eppure, proprio nella mentalità e nella cultura che viviamo in questo momento storico – la cultura del consumismo e del narcisismo individualistico – è la Croce che allontana dal Dio cristiano ed è la Croce che fa paura e impressiona molta gente contemporanea: l’immagine di Dio che noi ce ne facciamo, non corrisponde alla realtà di Dio.

Non vogliamo un Dio crocifisso, vogliamo un Dio trionfante e felice, un Dio “tappa buchi” che cerchiamo solo quando ci “serve”, un Dio che non è persona, ma una “funzione” tutta a nostra disposizione. Ma la Croce smentisce totalmente questa nostra immagine di Dio: Egli ha dei sentimenti, soffre come noi, ha “cuore” e non esita a soffrire una morte reale, terribile, scandalosa. Così, il mistero di Dio ci supera infinitamente e spiazza ogni nostra logica umana. In ogni caso, sbaglieremmo del tutto a pensare che la Croce di Gesù sia scandalo soltanto per noi contemporanei, preda del consumismo imperante. È stata sempre uno scandalo, fin dagli inizi della fede cristiana e continuerà ad esserlo fino in fondo alla storia umana.

Le prime generazioni cristiane, di fatto, hanno dovuto affrontare come noi questo tremendo impatto dell’anima con la Croce: perché Gesù ha dovuto morire? Se Dio lo amava tanto perché lo ha lasciato morire in un modo così atroce? Perché tanta umiliazione e sofferenza per una persona come Gesù che ha vissuto solo per fare del bene? Cosa può esserci di buono in quel “crimine” voluto da Caifa e da Pilato? Gli interrogativi sono molti e tutti affollano la nostra povera mente sgomenta e incredula. Se Dio è buono perché ha lasciato Gesù nelle mani dei suoi nemici? Il racconto della Passione dell’Evangelista Giovanni, che abbiamo letto e cantato poco fa, ci mette al corrente di tutte queste domande che hanno fatto soffrire tutti i primi cristiani. Noi tutti siamo inseriti in questo racconto!

L’esecuzione di Gesù, d’altronde, ci dice che sulla Croce non è stato ucciso soltanto Gesù. Con Lui è stato ucciso anche il suo messaggio, il suo progetto e insegnamento sul “Regno di Dio” ovvero le sue pretese di costruire un mondo “nuovo”. Gesù, dunque, è uno sconfitto in tutti i sensi, è uno sconfitto come tutte le vittime della storia umana, gli innocenti che hanno pagato con la vita ogni genere di violenza e distruzione. Ma proprio qui entra in gioco la fede: con la Croce Dio ci invita non a una conferenza, a un dibattito di intellettuali sopra di Lui. Ci invita ad entrare nel suo mistero con l’anima, con il cuore – tutt’altra cosa che una intelligenza fredda e spersonalizzata, come quella di tanta gente – e ci coinvolge nel suo dolore, nella sua pena atroce, nel suo cuore “trafitto”! Dio non vuole entrare nei dibattiti “televisivi” di ogni tempo, l’intrattenersi ozioso di chi rifugge dalla sofferenza umana. Cerca il nostra cuore, la nostra parte migliore.

È il dolore, la sofferenza sincera e inconsolabile che ci dà uno sguardo nuovo sugli esseri a noi cari che amiamo e che soffrono con noi. Accettando e soffrendo con noi e come noi, Gesù ci dice che Dio vuole entrare in dialogo con noi attraverso questo unico canale che è l’amore, l’amore sconfitto e crocifisso. Come quello che proviamo noi ogni giorno. Dio non ha tempo per la vita oziosa e inconcludente delle gente famosa, soddisfatta e alla fin fine senza problemi. I così detti “vincenti” nella vita e nella storia. Dio ha tempo solo per l’amore! Ed è ciò che hanno scoperto, ma nella fede e nell’accoglienza di Dio, i primi cristiani ed ora, per grazia di Dio, anche noi che siamo qui riuniti a rivivere il Venerdì Santo di Gesù e anche quello nostro.

La fede che parla al cuore ci dice, dunque: il Padre non ha salvato Gesù dalla morte ma nella morte! Nella crocifissione, Padre e Figlio, ma anche lo Spirito Santo, sono uniti non in ricerca di sangue e di distruzione (la morte di Gesù è opera umana, di Caifa e dell’impero romano rappresentato da Pilato), bensì affrontando il male fino alle sue ultime conseguenze. Ed è per questa ragione che nel “Credo” noi cristiani professiamo che «Gesù è morto e disceso agli inferi». Nessuna complicità di Dio con i crocifissori di Gesù, ma piuttosto una straordinaria verità: Gesù ha realizzato pienamente il disegno di Dio scendendo nel più profondo del nostro cuore là dove noi abbiamo solo paura della morte. È l’annuncio della Risurrezione. Questo è l’aspetto più grandioso e inimmaginabile dell’amore di Dio: ha il potere di annichilire, distruggere il male senza distruggere i malvagi ( come vorremmo noi esseri umani). È la fede della Chiesa di ogni epoca e latitudine che celebra la Croce di Gesù come croce “gloriosa”. Amen.

 

***

 

Omelia della Veglia Pasquale - 2014

La celebrazione della Veglia pasquale – che culmina nell’offerta del sacrificio di Cristo – è il cuore dell’anno liturgico della Chiesa e da cui s’irradia ogni altra celebrazione. La Veglia, dunque, rimanda a quanto Dio ha fatto per Israele, rimanda allora ad una memoria viva, sempre attuale. È la memoria di Dio, l’unica memoria che possiede e dà speranza a tutta l’umanità. Non ci sono memorie, come questa di Dio, che possano superare la distruzione che opera il tempo.

Così, nella Veglia pasquale, questa memoria di Dio mette insieme le quattro Pasque della storia della salvezza: la Pasqua del Signore, cioè il passaggio di Dio che salvò Israele dalla schiavitù dell’Egitto; la Pasqua del popolo ebraico, cioè la celebrazione, comandata da Dio, del “memoriale” di quel salvifico evento; la Pasqua di Cristo, cioè “il suo passaggio da questo mondo al Padre” (Gv 13,1); la Pasqua della Chiesa celebrata sacramentalmente nel rito eucaristico. La Veglia pasquale, quindi, come sottolinea il Card. Carlo Maria Martini, attua una mirabile congiunzione tra passato e futuro, tra memoria e speranza, fra tradizione e libertà.

Soltanto che noi moderni ci facciamo un’idea tutta nostra del futuro, della libertà, della speranza: queste tre profonde realtà sono fattori autonomi dell’uomo, iniziative solo dell’uomo, in cui non c’è posto per l’iniziativa di Dio, la sua memoria. E così l’uomo moderno si vede volentieri come l’uomo senza memoria, senza passato, senza padre, e quindi contestatore per principio di ogni tradizione che sembra schiavizzare la sua libertà. Ma è un terribile errore che scontiamo amaramente: siamo condannati all’eterno “presente”, siamo senza radici, senza padre e costretti a vagare nella vita senza uno scopo o una meta fuorché le nostre piccole, egoistiche soddisfazioni che lasciano il tempo che trovano.

Al contrario, i cristiani vivono della memoria di Dio. La pasqua che celebriamo ogni anno rappresenta, prima di tutto, un evento storico. Non è quindi una commemorazione ideale o la meditazione su una realtà astratta e lontana nel tempo. È invece un evento preciso, ben collocato nella storia: cioè il processo fatto dalle autorità romane a Gesù di Nazareth che si conclude con la sua condanna a morte, con la sua tortura e crocifissione. E qualche giorno dopo la morte di Gesù, il ricordo storico dell’incontro con Gesù vivo con i suoi discepoli.

Di fatto, il Vangelo che abbiamo ascoltato ci parla di un evento misterioso, mai accaduto prima, e così proclamato: «Gesù Nazareno è risorto dai morti» (Mt 28,7) oppure nel Vangelo di Luca:« Perché cercate tra i morti colui che è vivo?». Ma questo evento è racchiuso nel mistero di Dio, è un evento che non può essere raccontato o descritto, può essere solo proclamato, cioè accolto nella fede. Tuttavia, di questo evento misterioso vengono indicate delle realtà che lo manifestano in maniera chiara e precisa: il terremoto, la luce sfolgorante, la parola degli Angeli, lo stesso incontrarsi di Gesù con gli Apostoli, quelle apparizioni che mostreranno il grande mistero che è avvenuto.

La risurrezione di Gesù, allora, è l’irruzione nella nostra storia della potenza amorosa di Dio che crea e ricrea la vita. L’amore di Dio trionfa sul nulla della morte! Ma per capire questo mistero di Dio nella risurrezione di Gesù dobbiamo guardarlo non solo dal basso, a partire dall’umanità di Gesù – e come fanno in tanti oggi, romanzieri, sedicenti studiosi e “biblisti” improvvisati che mirano a vendere e non a cercare Dio e la verità -, ma dall’alto « come lo vede Dio Padre e come è in verità nel piano di Dio e nel mistero di Dio» (Card. Carlo Maria Martini).

Visto con gli “occhi della fede”, dunque, Gesù Cristo è il principio del cosmo, Colui in vista del quale tutto ha l’essere e la vita. La sua risurrezione non è un fatto personale e che riguarda Lui solo. Riguarda la vita intera, quindi tutti noi. Ecco, allora, il grande annuncio della Risurrezione che fa sorridere, in un certo senso, i “sapienti e gli intelligenti” totalmente succubi delle logiche del mondo: noi crediamo in Gesù risorto. E credere nel Risorto significa non accettare che la nostra vita sia solo una piccola parentesi tra due immensi vuoti, la nascita e la morte.

Confidando in Gesù Risorto, intuiamo, desideriamo e crediamo che Dio sta conducendo fino alla sua vera pienezza il desiderio di vita, di giustizia e di gioia racchiuso nel cuore profondo dell’umanità e dell’intera creazione. Credere nel Risorto significa non rassegnarci al fatto che Dio sia per sempre un Dio “nascosto” del quale non possiamo conoscere lo sguardo, la tenerezza e l’abbraccio d’amore. Credere nel Risorto significa ancora accostarci a tante persone che soffrono per la salute o per altro – disabili, malati cronici, - e dir loro che un giorno sapranno perché hanno tanto sofferto.

Credere nel Risorto, infine, significa che tutto quello che qui sulla terra è rimasto incompiuto, quello che abbiamo rovinato con il nostro errore o il nostro peccato, raggiungerà in Dio la sua pienezza. Nella vita senza tramonto, come dirà l’Apocalisse, non conosceremo più l’amicizia o l’amore che termina, la festa che finisce o il congedo che rattrista. Dio sarà tutto in tutti. È questa la gioia della Pasqua di Gesù, la nostra indistruttibile Pasqua perché, come ha detto bene Papa Francesco, Dio ci giudica e giudica tutta la nostra vita amandoci! Amen.

 

 

 

Powered by Hiho Srl
Questo sito utilizza i cookies, tecnici e di terze parti per ottimizzare l'esperienza di navigazione degli utenti connessi.

ACCETTO - DETTAGLI